Dove sta andando l’Europa?

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ph: Jakob Liew / Wikimedia Commons

L’invasione illegittima dell’Ucraina da parte della Russia di Putin è cominciata il 24 febbraio del 2022, seppur sullo sfondo di una guerra civile a bassa intensità nel Donbas iniziata nel 2014, in cui i diversi governi ucraini succedutisi nel tempo hanno le proprie responsabilità. Due nazionalismi opposti e mortiferi si scontrano dal 2014 in uno scenario sanguinario che presenta alcune analogie preoccupanti con la guerra nella ex-Jugoslavia, in particolare con lo scontro tra serbi e croati. Anche se ovviamente si tratta di due situazioni differenti e non paragonabili le analogie ci sono e riguardano l’intensità dell’odio reciproco fratricida e il protrarsi del conflitto nel tempo.

Inoltre lo scontro tra nazionalismi si sviluppa sullo sfondo di quello tra due imperialismi, quello russo e quello americano, entrambi operanti nella regione, seppur con metodi differenti. L’ingerenza russa in Bielorussia, così come i veri e propri interventi armati in paesi come Georgia e Ucraina, sono speculari al soft power e all’espansione inesorabile verso Est della NATO a salda guida statunitense. 

In Europa media mainstream, governi e istituzioni sovranazionali hanno a lungo scientemente sottovalutato e minimizzato la portata della posta in gioco, militare e geopolitica, nello scontro in atto nel Donbas dal 2014. Come se fosse una situazione periferica e marginale, ai confini dell’Europa non solo dal punto di vista geografico, e quindi da osservare da lontano. Salvo poi cambiare improvvisamente approccio nei mesi precedenti l’invasione russa dell’Ucraina, assumendo un atteggiamento radicalmente opposto. Da questo punto di vista la distanza dalla guerra nella ex-Jugoslavia non potrebbe essere più abissale, a livello di percezione mediatica e istituzionale dell’importanza storica e geostrategica del conflitto in questione all’interno dello scacchiere geopolitico globale. In fondo non tutte le guerre sono uguali.  

Ormai da molti mesi la situazione militare sul campo è sostanzialmente di stallo, pur essendo sempre instabile e mutevole. Nessuna offensiva, russa o ucraina, è riuscita finora a spostare in maniera significativa la linea del fronte e gli equilibri di forza dopo le conquiste russe dei primi mesi di guerra e la controffensiva ucraina alla fine della scorsa estate. Si procede senza tregua in un massacro che produce morte e distruzione, senza intravedere la luce in fondo al tunnel. Anche l’attuale controffensiva ucraina procede a rilento, come in passato altre iniziative russe. Ciononostante c’è la volontà ferrea da entrambe le parti di proseguire con la guerra, di continuare questo conflitto. Al momento non sembra esserci alcuno spazio di manovra perlomeno per un cessate il fuoco. Impossibile quindi scorgere una prospettiva di pace nel contesto attuale. I timidi tentativi della Cina e del Vaticano in questa direzione, seppur positivi e benvenuti, sono per ora appelli etico-morali senza consistenza politica.

In questa prospettiva generale l’Unione Europea si distingue per la sua inesistenza politica e diplomatica e per la sua adesione totale alla linea politica e militare dettata dalla NATO, a cui appartiene una buona parte dei paesi europei. All’interno dell’Alleanza Atlantica il ruolo preminente appartiene agli Stati Uniti, che hanno ancora una capacità egemonica a livello politico, economico e militare, almeno nel blocco occidentale. 

A livello mondiale invece lo sviluppo della globalizzazione, voluta dagli stessi Stati Uniti, ha fatto emergere nuove potenze economiche e spinge nella direzione di un mondo multipolare instabile e conflittuale, segnato dalle guerre, dalla crisi dell’egemonia americana, dall’ascesa della Cina. Sullo sfondo della guerra in Ucraina c’è lo scontro economico, commerciale e tecnologico tra Stati Uniti e Cina, anche se è sicuramente positivo e benvenuto il tentativo di questi ultimi giorni di allentare la tensione tra Washington  e Pechino.  

L’atteggiamento bellicista della Russia in Ucraina prosegue ostinato e tenace in una guerra esistenziale per mantenere il proprio imperialismo regionale. Putin non può permettersi di perdere la guerra, si sta giocando la conservazione del suo potere autocratico in Russia. Quello che è successo tra venerdì e sabato ha mostrato una fragilità imprevista nel regime russo: il tentativo di colpo di stato di Prigozhin, la ribellione armata e la marcia su Mosca da parte dei miliziani della Wagner. La risoluzione della crisi è stata altrettanto rapida e sorprendente. Il tempo dirà se tutto questo ha aperto crepe e indebolito la posizione di Putin. Ha fatto anche emergere che un’eventuale e al momento comunque improbabile caduta di Putin avverrebbe forse da destra, a favore di un falco ultranazionalista. Inoltre l’ipotesi di una disgregazione della Russia, paese dotato di un enorme arsenale nucleare, si è rivelata essere perlomeno non più così assurda e impossibile. Pur essendo attualmente uno scenario ancora poco probabile e non realistico.      

 Per quanto riguarda il campo occidentale, la strategia della NATO è di continuare a inviare armi all’Ucraina e di assecondare le richieste di Zelenski, senza spingere per una soluzione diplomatica e senza esercitare alcuna pressione politica affinché le proposte di cessate il fuoco da parte di Vaticano e Cina possano acquistare consistenza.

L’Europa è completamente allineata. Recentemente l’europarlamento ha votato a favore dell’aumento della produzione di armi, permettendo persino che alcuni fondi del PNRR a favore di spese sociali siano utilizzati a fini bellici. Germania e Francia hanno varato un aumento della spesa militare per 100 miliardi nei prossimi anni. Macron taglia le spese sociali e impone, contro la volontà del suo popolo, una riforma regressiva delle pensioni. Ma quando si tratta di spese militari l’austerità magicamente scompare. 

A fronte delle interpretazioni dominanti della guerra in Ucraina, incentrate esclusivamente sullo scontro tra democrazia liberale e autocrazia oppure tra libertà e dittatura, trovo interessante mettere in evidenza quella proposta dall’economista Emiliano Brancaccio in La guerra capitalista, che si focalizza proprio sullo scontro intercapitalista e interimperialista tra diverse oligarchie economiche e finanziarie: gli interessi materiali, economici, strategici e geopolitici prima dei valori etici e delle idee. In un mondo in cui crescono le disuguaglianze economiche, la concentrazione dei capitali e la competizione tra paesi e macroregioni, il fenomeno politico maggiore sembra essere la lenta e progressiva scissione tra democrazia e capitalismo. Anche in Occidente e in Europa le parole “libertà” e “democrazia” stanno perdendo valore e significato senza giustizia sociale e senza una lotta concreta per l’uguaglianza, perlomeno per la riduzione delle disuguaglianze e la redistribuzione della ricchezza. L’obiettivo minimo di una qualunque socialdemocrazia riformista degna di questo nome.  

Sicuramente va anche messa in luce l’assenza pesante di un movimento pacifista e antimilitarista non-allineato, che attraversi le società europee come fece invece nel 2003, all’epoca della guerra in Iraq. 

In questa situazione è lecito domandarsi dove stia andando l’Europa. Anzi, stupisce che questa domanda esistenziale non stia preoccupando nemmeno opinione pubblica e società civile dalle nostre parti. Forse non avviene perché non c’è un’organizzazione politica di sinistra forte e transnazionale e per la marginalizzazione politica e sociale delle stesse forze di sinistra già presenti, che subiscono la dialettica politica e mediatica dominante, chiaramente reazionaria e conservatrice, tra destra neoliberale e estrema destra nazionalista. L’estrema destra nazionalista governa già in molti paesi dell’Europa dell’Est, come Polonia e Ungheria. In realtà governa pure il nostro paese, anche se si fa fatica ad ammetterlo chiaramente e si tende ad accettare, a sminuire e a normalizzare l’evento politico in maniera passiva e rassegnata. Le elezioni europee del 2024 rischiano di portare nell’europarlamento e nella commissione UE una maggioranza conservatrice e reazionaria. Prove tecniche di articolazione politica tra destra neoliberale e estrema destra nazionalista. 

D’altronde, se le cose non cambiano, la storia purtroppo la fa chi vince.