Ibsen, l’Ottocento e la svolta verso la modernità

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Henrik_Ibsen_with_friends_in_Rome
[https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7b/Henrik_Ibsen_with_friends_in_Rome.jpg See page for author, Public domain, via Wikimedia Commons]

Il Settecento e l’Ottocento. Due secoli affascinanti che hanno determinato inequivocabilmente ciò che l’Occidente è oggi. Se nel XVIII secolo si sono gettate le basi per la svolta verso la modernità – si pensi alla nascita della Fisica che abbiamo studiato alle Superiori, ai Lumi e il primato della ragione, al dispotismo illuminato –, nel XIX questa svolta si è concretizzata con grande impeto: l’Ottocento si è aperto con la Restaurazione, le carrozze a cavalli, le candele e si è chiuso con i treni, l’illuminazione pubblica, l’elettricità, il telegrafo, la psicanalisi, le fabbriche, i movimenti sindacali, le avanguardie artistiche, le prime autovetture.

Il vivere quotidiano ha subito, nel corso dell’Ottocento, una trasformazione profondissima, molto più che nell’arco del Novecento in cui, al confronto, le nostre esistenze non sono cambiate in modo altrettanto radicale, tanto che Eric Hobsbawm l’ha definito il “secolo breve” (1). A questo punto, l’Ottocento può essere definito allora il “secolo lungo”, visto tutto ciò di cui è stato teatro.

Questo impeto di trasformazione che rasenta la furia è particolarmente evidente nell’opera di un drammaturgo norvegese come Henrik Ibsen, che nelle sue pièces teatrali tratta magistralmente temi oggi più che mai al centro del dibattito pubblico: dalla parità tra i due sessi, al rapporto difficile tra finanza e morale, all’influenza che l’opinione pubblica e la ricerca del consenso hanno inevitabilmente sulle scelte politiche e sugli organi di informazione.

In questo articolo non pretendo certo di svolgere un’analisi critica dell’opera di Ibsen; il mio vuole essere piuttosto un invito alla scoperta, o alla riscoperta, di un autore che si rivela ancor oggi di un’attualità sorprendente.

Va detto subito che gli ultimi decenni dell’Ottocento furono, per la Scandinavia, un momento di grande fermento culturale: sono gli anni del movimento letterario noto internazionalmente come The Modern Breakthrough (in Norvegia: Det moderne gjennombrudd. In Danimarca: Det moderne gennembrud. In Svezia: Det moderna genombrottet) e che in italiano potremmo tradurre molto liberamente come “La svolta verso la modernità”. Traduzione decisamente libera, ma chiara ai fini di questo articolo. Tale movimento può essere ritenuto la declinazione nordica del Naturalismo: è un mondo che ha ormai superato la fase del Romanticismo e che si trova davanti una sorta di terreno vergine, foriero di grandi totalitarismi e grandi disastri geopolitici nel secolo successivo (ma questo, all’epoca, rientrava nella sfera dell’inconoscibile). Tutto è magmatico, tutto cambia, tutto viene rimesso in discussione nei fondamenti.

In un mondo vittoriano, l’idea che una moglie potesse abbandonare il marito e il tetto coniugale era semplicemente inconcepibile (oltre che inaccettabile, intollerabile, inammissibile e una lunga serie di altri “in-…”). Ebbene, è proprio quanto accade nell’opera di Ibsen in tre atti Casa di bambola (Ett duckehjem, 1879). Nora, che il marito Torvald da sempre considera come la sua piccina da vezzeggiare – quasi un’incapace di intendere e di volere -, per garantirgli le cure mediche e i soggiorni climatici necessari alla sua salute si indebita e, quel che è peggio, per ottenere il prestito falsifica la firma del marito. (2) Quando lo scopre, Torvald indignato riversa su Nora tutta la sua rabbia e il suo disprezzo. L’unica cosa che pare preoccuparlo davvero è lo scandalo, la sua reputazione personale, ciò che dirà la gente, e non il fatto che Nora pur di salvargli la pelle si sia indebitata ed esposta sino a questo punto.

Ed è lì che Nora si ribella, e tutto un mondo fatto di convenzioni e di finzione implode come un castello di carte:

Siediti Torvald, noi due abbiamo molte cose da dirci. (Si siede a un lato del tavolo).

– Nora, …ma che cosa vuol dire? Quel viso così duro…

– Siedi… Ci vorrà diverso tempo. Ho molte cose di cui parlarti.

– (si siede al tavolo, di fronte a Nora). Mi fai paura, Nora. E io non ti capisco.

– Proprio questo. Tu non mi capisci. E io non ho mai capito te… prima di stasera. No, non interrompermi. Dovrai solo stare a sentirmi… è venuta l’ora della resa dei conti, Torvald.

Nora ha visto con che omuncolo schiavo del giudizio altrui è stata sposata per otto anni, ha deciso di dire “basta” e gli comunica la sua decisione irrevocabile di lasciarlo e di andarsene. Il marito è esterrefatto:

É abominevole. Puoi mancare così ai tuoi più sacri doveri?

E quali sono, secondo te, i miei più sacri doveri?

– C’è proprio bisogno che te lo dica? Non sono i doveri verso tuo marito e i tuoi bambini?

– Ho altri doveri altrettanto sacri.

Questo no. Non so davvero di che doveri dovrebbe trattarsi.

– Dei doveri verso me stessa.

– Tu sei avanti tutto moglie e madre.

– A questo non credo più. Io credo di essere, avanti tutto, un essere umano, come te … o, in ogni caso, che devo cercare di diventarlo …

A nulla valgono gli appelli alla morale (l’etica è nozione troppo raffinata, in un mondo di convenzioni), le pressioni, le promesse, le belle parole: ormai la frittata è fatta. Nora pianta marito, bambini e se ne va.

A noi, oggi, le parole di Nora sembrano talmente sacrosante da apparire quasi scontate ma, nella Norvegia dell’Ottocento, lo scandalo non poteva essere più totale.

***

Vizi privati, pubbliche virtù. Il rapporto tormentato tra finanza e morale. Il politically correct in nuce. Nella prosa di Ibsen si parla anche di questo. In Spettri (Gengangere, 1881), la vedova del capitano Alving sta per inaugurare un asilo intitolato alla memoria del marito, un maggiorente locale ritenuto da tutti un uomo irreprensibile e di specchiata moralità, ma in realtà un dissoluto dedito a ogni genere di vizio e di tradimento. La moglie ha sopportato tutto in silenzio per amore del figlio, cercando persino di giustificare a sé stessa la condotta del marito, dicendosi che

si è trovato a dover vivere in questa cittadina mediocre […] che non può certo offrire vere gioie ma solo piaceri, piaceri gretti e meschini … qui ha dovuto trascorrere la sua esistenza, in questo buco in cui non poteva trovare un vero scopo […] è successo quello che è successo perché doveva succedere.

Ma ora, col senno di poi, la vedova Alving è pentita di questa sua quiescenza davanti a ciò che le faceva orrore:

Schiava com’ero dei doveri, costretta dalle cautele e dai riguardi, incatenata dalle paure […] Dio che vigliacca!

Per mettere una pietra sopra un passato tanto scabroso, o forse anche come gesto riparatore, la vedova Alving decide di investire il cospicuo lascito nel marito nella costruzione di un asilo. Si pone il dilemma se assicurare o meno l’edificio: non assicurarlo vorrebbe dire mettere a rischio la notevole somma investita, ma assicurare un’opera di bene rischia di essere visto come sinonimo di fede vacillante, una mancanza di fiducia nella divina Provvidenza:

Ma come, se io ho assicurato sempre tutto, casa, beni immobili, il raccolto, il bestiame, perfino le

provviste che tengo in magazzino …

A instillarle il dubbio ci pensa il pastore:

E l’opinione della gente, qui in paese, non ci avete pensato? No dico, scusate, ma conoscete meglio di me il loro stato d’animo, la loro mentalità […] A parte poi gli attacchi di tutta una certa stampa, cui non sembrerebbe vero di potermi criticare, diffamare, calunniare …

– Per l’amor del Cielo, caro pastore, io non avevo pensato a tutte queste conseguenze, ma non parliamone neanche più, assolutamente.

Morale, l’asilo non viene assicurato e, solo pochi giorni dopo, effettivamente un incendio manda tutto in fumo. Ciò spiana la strada ad altre probabili maldicenze, sul castigo divino, sull’opera maledetta, ma alla vedova Alving tutto ciò non fa più né caldo, né freddo. Per lei è molto più importante essersi finalmente liberata dei pregiudizi e delle paure che l’avevano tenuta incatenata per una vita:

Pastore, preferirei che la considerassimo da un punto di vista esclusivamente pratico, solo come un problema economico e niente di più. […] Fate voi, pastore, fate come volete, come vi sembra meglio. Per me è lo stesso.

***

Il ruolo dei media. Nelle paure del pastore trova spazio anche questo, a riprova della straordinaria attualità del teatro di Ibsen che ne fa un tema centrale in un’altra celebre opera, Un nemico del popolo (En folkefiende, 1882).

Siamo sempre in piena provincia norvegese, tra fiordi e cascate, e in una fiorente cittadina termale il medico dello stabilimento di cura scopre che la fonte è pesantemente inquinata a causa delle attività zootecniche nelle immediate vicinanze. Si ritiene in dovere di dare l’allarme, convinto di poter contare sul consenso generale e sull’appoggio della stampa locale, visto che è in gioco un bene supremo come la salute pubblica. Ma non sarà così.

Rimediare a questa situazione comporterebbe lunghi e costosi interventi di risanamento, la chiusura dello stabilimento termale per almeno due anni e il venir meno di tutto un indotto su cui si regge l’economia della cittadina, dove molti sono i proprietari di seconde case che affittano regolarmente ai turisti e agli avventori delle terme.

E’ il ben noto dissidio tra idealismo e pragmatismo.

A tentare di riportare il medico con i piedi per terra ci pensa anzitutto il fratello, che è anche il borgomastro della città:

Ti sei degnato di calcolare le spese? Ah già, tu non ti preoccupi di queste piccolezze, di queste miserie. Ma sai che, fatti i conti, vengono fuori centinaia di migliaia di corone? […] E intanto, mi dici che cosa facciamo con le Terme, eh? Le chiudiamo?

Davanti all’irremovibilità del medico, il fratello sindaco gli dichiara guerra, minacciando di farlo licenziare dal suo incarico alle Terme:

Io vedo solo che cerchi un altro sfogo alla tua smania di litigare. E’ sempre il tuo solito chiodo di

attaccar briga con i tuoi superiori. Già già, lo so: non sopporti di obbedire a nessuna autorità, guardi storto chi occupa qualche carica e te ne fai un nemico personale, e qualunque mezzo ti sembra buono pur di attaccarlo, di metterlo nei guai, di fare il rivoluzionario! Ma adesso, uomo avvisato … Sei tu che vuoi giocare d’azzardo, mio caro, non io.

Il medico non demorde, e chiede al giornale locale di pubblicare un suo articolo in cui denuncia la situazione in cui versano le acque dello stabilimento termale. Con sua sorpresa ottiene però un rifiuto, espresso dapprima in termini titubanti, poi esplicito e addirittura sdegnato:

Mi dispiace, ma non lo pubblico. Non posso e non intendo pubblicarlo.

– Non potete? Ma che sciocchezze state dicendo? Siete bene il redattore, no? E il giornale, se non mi sbaglio, lo fa la redazione.

– No, dottore, lo fanno gli abbonati. L’opinione pubblica, i lettori colti, i proprietari, e tutti gli altri: ecco chi fa il giornale.

– E tutte queste forze, tutte queste leve del potere, sarebbero allora contro di me?

Proprio così, dottore. Per la cittadinanza sarebbe la rovina, se pubblicassimo il vostro articolo.

Il conflitto culmina in un’assemblea pubblica in cui il medico intende presentare la sua relazione sullo stato delle Terme; viene però interrotto, additato dalla folla come nemico del popolo e rischia addirittura il linciaggio.

In questa modernissima opera di Ibsen sono presenti svariate tematiche di grande attualità: l’intreccio tra affari e politica; il conflitto di interessi; la pressione dell’opinione pubblica sui politici, che tendono a decidere sempre più inseguendo il consenso, i sondaggi, anziché in funzione del bene comune; il ruolo degli organi di informazione, sempre più schiavi delle visualizzazioni, dell’audience, dei click; la difficile libertà di pensiero dei singoli, divenuti massa sempre più manipolabile.

A conclusione di questa breve panoramica di tre opere scelte, senza alcuna pretesa di analisi letteraria,vorrei solo aggiungere una mia considerazione personale da ex studente di lingue e letterature scandinave, riconoscente all’università pubblica italiana e ai suoi docenti che gli hanno permesso di accedere a un mondo tanto interessante, ricco di spunti e di spessore in ogni senso. Trovo affascinante che un messaggio di questa attualità sia giunto al resto del pianeta dai monti e dalle foreste della Scandinavia profonda del secondo Ottocento, ed altrettanto affascinante constatare quanto poco siano cambiate certe dinamiche negli ultimi centocinquant’anni. Per alcuni versi siamo ancora ottocenteschi e, ancora una volta, la letteratura si conferma un potentissimo strumento per fotografare, capire e anticipare la realtà.

Note

(1) E. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli 1995.

(2) Nella Norvegia dell’epoca, una donna sposata non poteva contrarre un prestito senza il consenso scritto del marito.

Bibliografia

H. Ibsen, Casa di bambola, a c. di P. Sanasi, http://copioni.corrierespettacolo.it , consultato nel Settembre del 2024.

H. Ibsen, Spettri/Un nemico del popolo/L’Anitra selvatica/Rosmersholm, a c. di Claudio Magris, Milano, Garzanti 1976.