Nell’ultimo anno, a causa del conflitto in Ucraina, un conflitto per noi europei molto più vicino di altri, abbiamo parlato molto di guerra, strategia militare, armi, geopolitica, Russia, Unione Sovietica, Guerra Fredda. Abbiamo però parlato poco o niente di pace. La parola in realtà è stata usata spesso, ma nella maggior parte dei casi a sproposito o in maniera superficiale. Politica, media, opinione pubblica – anche in Italia e in Europa – non si sono interrogati seriamente sull’idea di pace. Pace in quanto concetto politico, sociale, relazionale. Pace in quanto obiettivo a cui tendere, con un processo da costruire. Pace nel caso della guerra in Ucraina, ma anche di tanti altri conflitti in giro per il mondo.
In questi giorni, per esempio, in occasione della visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca, è stato fatto più volte riferimento alla proposta di pace cinese pubblicata lo scorso febbraio. Un documento in dodici punti che elenca una serie di principi o passaggi generali che andrebbero seguiti, secondo Pechino, per arrivare a un accordo e mettere fine alla guerra. Per esempio rispetto della sovranità nazionale, cessate il fuoco, avvio di negoziati, messa in sicurezza dei siti nucleari, interruzione delle sanzioni unilaterali. Il piano – accolto con favore dalla Russia, ma non dagli altri attori della crisi ucraina – non esplicita però alcun percorso concreto per fermare le armi. Non solo, commentandolo o prendendo posizione a riguardo, politici, giornalisti, analisti non sono quasi mai andati oltre lo stesso documento. Non si sono chiesti cosa sia la pace e come la si possa costruire nel caso del conflitto in Ucraina.
La mossa cinese risponde ovviamente al desiderio di Pechino di diventare una potenza globale in grado di portare equilibrio e stabilità, e va ricordato come solo pochi giorni fa la Cina sia riuscita a facilitare la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran, i due grandi nemici in Medio Oriente. Ma per quanto riguarda l’Ucraina il punto è l’assenza di un’indicazione precisa di un potenziale percorso per arrivare alla pace. Il percorso non c’è anche perché le variabili sono tante e assolutamente non allineate. A noi però qui interessa sottolineare come si sia parlato di una proposta di pace, quando in realtà – almeno ufficialmente – il concetto di pace non è stato realmente sviluppato. La stessa mancanza di profondità è evidente anche nel dibattito pubblico, un po’ ovunque.
È vero che il contesto ucraino non aiuta, e che la posizione degli attori in campo ha ridotto drasticamente lo spazio per la diplomazia e il dialogo. Putin sta portando avanti una guerra che è anche esistenziale, gli ucraini vogliono il totale ritiro delle truppe di Mosca prima di un eventuale dialogo, l’Occidente sta aumentando la produzione di armi da mandare all’esercito di Kyiv. Ma in realtà dovrebbe essere proprio questa evidente mancanza di spazio per il confronto a stimolare la riflessione e l’azione. Come invertire la rotta? In quale direzione? Con quali strumenti? Come prevenire situazioni simili in futuro? Cosa vuol dire veramente pace? E tutto questo dovrebbe portare anche a una riflessione all’interno delle nostre società, nel nostro caso quella italiana, dove non ci sono guerre ma sì molte conflittualità di varia natura.
Posizioni apparentemente inconciliabili portano spesso a uno scontro. E questo richiederebbe un pensiero dedicato per le nuove generazioni e per la loro educazione. Perché non educarle alla pace? Che ovviamente non vorrebbe dire spiegargli che devono essere tutti più buoni. Perché non parlare di pace nelle scuole e nelle università? Perché non farla diventare materia di studio? Perché non far ragionare i più giovani sul vero significato di pace?
Pace non solo come valore ma anche come concetto concreto al quale tendere un passo alla volta, mettendo tanti piccoli mattoncini uno sopra l’altro, imparando a osservare e accettare quello che è diverso da noi. Non è mai troppo tardi per cominciare.