Le crisi e i conflitti internazionali degli ultimi mesi e anni hanno confermato la natura della comunità internazionale in questo particolare periodo storico che possiamo definire di disordine internazionale.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso la Guerra Fredda, con il suo mondo bipolare, ha governato equilibri dettati dalla rigida contrapposizione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, le due superpotenze.
Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la conseguente dissoluzione dell’URSS è cominciato un periodo caratterizzato da un mondo unipolare, durante il quale ha dominato la scena internazionale un unico attore statale, gli Stati Uniti, i vincitori della Guerra Fredda.
Il predominio americano non è però durato a lungo ed è finito durante il primo decennio degli anni 2000. Gli Stati Uniti rimangono ancora oggi un soggetto fondamentale delle relazioni internazionali, ma non sono più in grado di determinare in maniera univoca le dinamiche della comunità internazionale. Tra gli eventi che, con diverse modalità, hanno segnato la fine del mondo unipolare a guida americana possiamo citare l’invasione dell’Iraq del 2003, con la successiva guerra civile in quel paese, e la crisi economico-finanziaria del 2007-2008.
Negli anni successivi la comunità internazionale è lentamente scivolata in una nuova fase, ancora in corso con caratteristiche che si stanno consolidando con il passare del tempo, che abbiamo quindi chiamato di disordine internazionale.
Anche oggi c’è un’importante contrapposizione tra due attori statali dominanti, Cina e Stati Uniti, ma in una situazione completamente diversa rispetto alla Guerra Fredda. Basta citare i legami economico-commerciali tra Pechino e Washington, oppure il fatto che la continua competizione tra questi due attori non abbia in alcun modo funzionato da deterrente in grado di congelare le crisi in corso in altre parti del mondo. Anzi, sta succedendo esattamente il contrario, poiché gli eventi degli ultimi anni vanno proprio in questa direzione. I casi di crisi e le guerre in Ucraina e in Medio Oriente sono in tal senso emblematici.
Dietro all’invasione russa dell’Ucraina, ad esempio, c’è la scelta, anche molto personale, di Vladimir Putin. La sua interpretazione della storia, passata e futura, secondo la quale l’invasione del paese vicino risponde all’esigenza di garantire la sicurezza della Russia, si lega anche alla volontà di allargare lo spazio geografico dipendente da Mosca. Un’esigenza quasi esistenziale, alimentata dalla voglia di riaffermare il peso della Russia a livello globale.
La guerra in Ucraina ha una dimensione internazionale, lo scontro tra Russia e Occidente. Nonostante le minacce e i rischi, il conflitto è rimasto circoscritto, almeno finora, ai confini dei due paesi. In un altro periodo storico tutto questo non sarebbe stato possibile, ma probabilmente non ci saremmo nemmeno trovati di fronte a una situazione di questo tipo, perché Putin non si sarebbe avventurato in un’operazione di questo tipo. Oggi invece lo ha potuto fare anche grazie a un quadro internazionale caratterizzato proprio da un diffuso disordine. In altre parole Putin si è sentito autorizzato a invadere l’Ucraina prevedendo, come poi è stato, che non ne sarebbe seguito un allargamento del conflitto.
Anche uno degli ultimi sviluppi, il coinvolgimento di migliaia di militari della Corea del Nord, che Mosca potrebbe presto usare in Ucraina, non ha provocato un’ulteriore escalation. Certamente il livello dello scontro si sta alzando, ma è un po’ come se gli attori interessati – in questo caso la Russia – avessero valutato a tavolino che per ora si possono permettere questo tipo di scelte.
In un contesto radicalmente diverso, nell’ultimo anno anche in Medio Oriente ci sono state azioni e scelte che forse in altri periodi storici non avremmo visto.
Hamas, un soggetto non statale della comunità internazionale, ha programmato e messo in atto l’attacco più grave contro Israele dalla nascita dello stato ebraico. I politici israeliani ricordano in continuazione come il numero delle vittime del 7 ottobre sia stato il più alto dall’Olocausto. E vale lo stesso per la risposta israeliana, che ha praticamente distrutto la Striscia di Gaza, facendo oltre 40 mila morti e provocando quella che tutte le agenzie umanitarie hanno definito una vera e propria catastrofe.
Anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è sentito autorizzato a usare tutta, o quasi tutta, la forza militare a sua disposizione, rimandando al mittente tutte le richieste di moderazione dell’alleato americano Joe Biden. La ex-grande potenza che non viene ascoltata nemmeno dal suo principale alleato nella regione!
Tra qualche mese, con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, ci potrebbe essere maggiore sintonia tra i governi di Stati Uniti e Israele. Ma l’imprevedibilità del futuro presidente americano, così come la sua probabile tendenza al disimpegno internazionale e al rifiuto del multilateralismo, potrebbero alimentare ancora di più l’instabilità e il disordine globale.