Dal 1949 la Repubblica di Cina, comunemente nota come Taiwan, rappresenta una questione cruciale in politica internazionale. L’isola è infatti uno dei principali punti di contesa tra Cina e Stati Uniti, per ragioni molteplici: dalla sua posizione strategica, che la colloca vicino a un paese avversario sia militarmente che ideologicamente, alla lotta per il controllo della sua industria chiave dei microprocessori, unica al mondo e fondamentale per lo sviluppo tecnologico globale.
Tuttavia in questo articolo, anziché concentrarci esclusivamente su questi aspetti geopolitici, ci poniamo una domanda diversa: quale collocazione culturale occupa Taiwan, una realtà storicamente influenzata da forze provenienti da due lati opposti del globo?
Per comprendere meglio la situazione attuale è necessario ripercorrere la tumultuosa storia di Taiwan, il cui passato di continue dominazioni da parte di diverse potenze ha dato origine a un panorama culturale complesso e unico.
L’isola è abitata da migliaia di anni da diversi popoli aborigeni, che oggi rappresentano meno del 2% della popolazione. Anche perché a partire dal 1623 Taiwan è stata soggetta al controllo di varie potenze coloniali e locali. Già nel 1544 i marinai portoghesi ebbero il primo contatto con l’isola, descrivendola come “Ilha Formosa” (in italiano “bella isola”). I primi a stabilire un controllo sull’isola furono però gli
olandesi nel 1623, nonostante una breve incursione spagnola, che si concretizzò in un insediamento vicino all’attuale Keelung, durato dal 1626 al 1642, anno in cui gli spagnoli furono scacciati.
Questo primo periodo di amministrazione europea interessò principalmente le pianure occidentali sotto il diretto controllo olandese, ma coinvolse anche le popolazioni aborigene degli altipiani orientali. Gli olandesi introdussero un tentativo di evangelizzazione, senza però reprimere i costumi locali, e svilupparono un primo sistema governativo che venne successivamente adottato dagli occupanti futuri. Durante questo periodo si registrò anche l’arrivo della prima ondata di migranti Han e Hakka dalle vicine province cinesi del Fujian e del Guangdong.
Il dominio olandese si concluse nel 1661 con l’attacco di una flotta guidata da Zheng Chenggong, un lealista della dinastia Ming recentemente sconfitta dai Qing. Zheng fondò sull’isola il Regno di Tungning, il primo regime cinese di etnia Han a governare Taiwan. Questa esperienza di governo cinese durò però solo 22 anni. Nel 1683 la dinastia Qing riprese il controllo di Taiwan e mantenne il dominio per oltre due secoli. Inizialmente, l’atteggiamento dei Qing verso l’isola fu di indifferenza, al punto da definirla “una palla di fango al di là del mare, che non aggiunge niente alla vastità della Cina.” Questo si tradusse in politiche restrittive, come il controllo sull’immigrazione verso l’isola, limitata fino al 1760, e l’istituzione di un centro governativo a Taipei solo nel 1875, quando la popolazione Han aveva ormai raggiunto i 2,5 milioni di abitanti.
Durante il dominio Qing, la cultura taiwanese era divisa tra le comunità di frontiera Han e gli aborigeni degli altipiani. Tra gli influssi culturali più rilevanti vi fu quello dei migranti provenienti dalla regione del Fujian, parlanti il dialetto “min nan”, che introdussero l’antica tradizione del teatro dei burattini, una forma artistica sopravvissuta fino ai giorni nostri. Inoltre, grazie alla posizione strategica di Taiwan lungo le rotte
commerciali dell’Asia orientale, gli abitanti dell’isola furono esposti a influenze cosmopolite e agli effetti del commercio europeo.
Con il cosiddetto “secolo dell’umiliazione” la dinastia Qing subì crescenti sconfitte, culminate nel 1895 con la cessione di Taiwan al Giappone, dopo la sconfitta nella prima guerra sino-giapponese. Durante i primi anni di dominazione giapponese, l’isola attraversò un periodo di instabilità sociale. Solo a partire dal 1919, il Giappone iniziò a considerare gli abitanti di Taiwan come sudditi imperiali, avviando un processo di “giapponesizzazione” che si intensificò negli anni ’30 e durante la Seconda Guerra Mondiale (1941-1945). In quel periodo il Giappone incoraggiò attivamente i taiwanesi a contribuire allo sforzo bellico, reprimendo le pratiche culturali locali.
Il dominio giapponese comportò un profondo cambiamento culturale. La popolazione taiwanese entrò in contatto con la letteratura, l’arte, il cinema e la musica giapponesi e occidentali, sviluppando una sensibilità culturale che combinava influenze diverse, orientandosi sempre più verso una prospettiva globale e occidentalizzata.
L’eredità giapponese è ancora evidente nella lingua taiwanese, dove sopravvivono molte parole di uso colloquiale di origine nipponica. Inoltre, nonostante Taiwan fosse una colonia, il Giappone introdusse per la prima volta elementi di democrazia: a partire dal 1935 furono istituiti seggi per rappresentanti taiwanesi nella Dieta Nazionale Giapponese e assemblee locali.
Nel frattempo la caduta della dinastia Qing nel 1919 aveva dato origine alla Repubblica di Cina, guidata dal Kuomintang (KMT), il Partito Nazionalista Cinese fondato da Sun Yat-sen. Dopo la sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, Taiwan venne riannessa alla Repubblica di Cina nel 1945. Tuttavia nel 1949 il KMT, guidato dal generale Chiang Kai-shek, si rifugiò a Taiwan dopo la sconfitta nella
guerra civile contro il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong, che fondò la Repubblica Popolare Cinese.
L’arrivo del KMT segnò l’inizio di una nuova fase repressiva per la cultura taiwanese. Chiang Kai-shek adottò politiche volte a “sinizzare” la popolazione locale, imponendo il mandarino come lingua ufficiale e utilizzando il sistema educativo per diffondere l’ideologia nazionalista cinese. Durante il dopoguerra l’influenza culturale americana si fece sentire, sia per interessi geopolitici statunitensi sia attraverso l’importazione di elementi della cultura pop occidentale. Il KMT dominava rigidamente lo spazio culturale pubblico, vietando qualsiasi espressione culturale non allineata con il nazionalismo cinese.
Alla fine degli anni ’40 il KMT aveva eliminato ogni dissenso verso le sue politiche culturali. Anche quando i taiwanesi tentarono di recuperare attività culturali bandite dai giapponesi nel 1937, il partito li trattò come “ex schiavi” dell’Impero nipponico, ritenendo che dovessero attraversare un periodo di “tutela morale” prima di essere considerati cittadini a pieno titolo della Repubblica di Cina.
Nel 1953 il Generalissimo Chiang Kai-shek emanò il suo primo parere sulla cultura, che delineava il programma nazionalista per l’istruzione. Questo includeva la costruzione di infrastrutture per la ricreazione intellettuale e fisica e un programma statale mirato a promuovere la propaganda anticomunista. Una delle priorità principali fu l’universalizzazione dell’istruzione in mandarino, resa obbligatoria per legge.
Nonostante il rigido controllo cinese sulla cultura taiwanese, i progressi tecnologici sovietici spinsero i nazionalisti a cercare una più stretta collaborazione con le università americane, favorendo lo sviluppo di programmi di ingegneria e scienza. La crescente presenza americana sull’isola permise anche una parziale apertura: i taiwanesi ripresero alcune attività culturali considerate politicamente ed etnicamente neutre, come dimostrato dalla nascita di un mercato florido di mezzi di comunicazione in lingua taiwanese.
Tra gli anni ’60 e ’80, la cultura di Taiwan veniva spesso descritta attraverso il confronto tra “la Cina libera” (Taiwan) e “la Cina comunista” (Repubblica Popolare Cinese). La propaganda ufficiale di Taipei si presentava come il baluardo della cultura cinese tradizionale, preservando i “veri” valori e la “vera” cultura cinesi, in contrasto con la “falsa” cultura della Cina post-comunista. Ma in realtà sotto il regime autoritario di Chiang Kai-shek e del Kuomintang le espressioni culturali locali taiwanesi furono pesantemente represse. In risposta alla Grande rivoluzione culturale della Cina continentale, il governo di Taiwan lanciò il “Movimento per la rinascita culturale cinese”, una serie di programmi volti a rafforzare la cultura cinese tradizionale come contrapposizione ideologica al comunismo. Queste iniziative includevano la pubblicazione sovvenzionata di testi classici cinesi e la revisione dei programmi scolastici, con una forte enfasi sulla visione ufficiale della cultura cinese “tradizionale”.
Un cambiamento significativo avvenne nel 1975 con la morte di Chiang Kai-shek e l’ascesa al potere del figlio Chiang Ching-kuo. Come presidente del Kuomintang e poi della Repubblica di Cina, Chiang Ching-kuo introdusse riforme cruciali: nel 1987 abolì la legge marziale, nominò il taiwanese Lee Teng-hui come suo successore e avviò politiche che ampliavano i diritti dei cittadini nati a Taiwan.
A Chiang Ching-kuo, morto nel 1988, succedette Lee Teng-hui, che proseguì il processo di democratizzazione favorendo la “taiwanizzazione” della cultura. Tra le sue riforme principali vi furono la rimozione delle restrizioni sull’uso della lingua taiwanese nelle scuole e nei mezzi di comunicazione, segnando l’inizio di una nuova era per l’identità culturale di Taiwan.
A fare da sfondo a questo periodo di svolte e cambiamenti vi è il “Bentuhua”, un movimento sociale e culturale nato a metà degli anni ’70, in concomitanza con la morte di Chiang Kai-shek. Il Bentuhua si proponeva di contrastare la politica di repressione culturale del KMT, promuovendo invece l’identità culturale taiwanese come distinta e indipendente rispetto a quella della Cina continentale.
Un passaggio storico cruciale si verificò nel 1996, con lo svolgimento delle prime elezioni presidenziali democratiche nella storia di Taiwan. Lee Teng-hui, candidato del Kuomintang, vinse contro il rappresentante del Partito Progressista Democratico (PPD), primo partito di opposizione fondato illegalmente nel 1986, durante il periodo della legge marziale. Il PPD avrebbe poi ottenuto la sua prima vittoria presidenziale nel 2000.
Il PPD, alla guida di Taiwan dal 2000 al 2008 e nuovamente dal 2016 fino ad oggi, è un fervente sostenitore dell’indipendenza politica e culturale dell’isola dalla Repubblica Popolare Cinese. Questo lo contrappone all’approccio più conservatore del Kuomintang, che invece continua a promuovere un legame stretto con la cultura cinese tradizionale.
Ad oggi l’identità culturale taiwanese rimane inevitabilmente intrecciata con l’agenda politica delle diverse forze interne, influenzando l’opinione pubblica e i processi di inculturazione. Un esempio significativo è la revisione dei testi scolastici: nel 2015 il KMT, in una fase di politica filo-Pechino, promosse una modifica dei programmi per sottolineare i legami storici con la Cina continentale. L’anno successivo invece il governo di Tsai Ing-wen del PPD annullò tali linee guida e avviò un nuovo processo di revisione in linea con la propria visione.
Un altro aspetto fondamentale da analizzare riguarda le recenti politiche portate avanti dal governo taiwanese per la tutela della cultura dei gruppi indigeni e della diversità linguistica del paese. Sebbene il cinese mandarino sia riconosciuto come lingua ufficiale, viene scritto con i caratteri tradizionali a differenza della Cina Continentale. La maggior parte della popolazione utilizza anche il taiwanese, una variante dell’hokkien originaria del Fujian, insieme ai dialetti hakka e min nan, anch’essi provenienti dalle regioni del Fujian e del Guangdong. Il panorama linguistico è ulteriormente arricchito da un considerevole apporto di vocaboli giapponesi, che permangono nell’uso quotidiano colloquiale, testimonianza delle influenze storiche subite dall’isola.
In conclusione: Taiwan, o Repubblica di Cina, è un Paese dalle molteplici sfaccettature culturali. Le sue tradizioni riflettono una storia complessa di influenze straniere e locali, dall’Europa al Giappone, dagli Stati Uniti alla Cina continentale, che hanno contribuito a forgiare un’identità unica in continua evoluzione.
Bibliografia
https://rivista.clionet.it/vol4/roncati-repubblica-di-cina-o-taiwan/