#proudtobecivica
Ricordo un pomeriggio di un soleggiato gennaio di parecchi anni fa. Era il mio primo giorno di insegnamento in Civica. Tornavo per la prima volta in qualità di docente dopo essere stato studente, una manciata di anni prima. Era una lezione di consecutiva dall’inglese all’italiano con il terzo anno e io salivo le scale con il giornale del Trinity College di Dublino dove ero stato la settimana prima e un mix di emozioni nello stomaco.
Ricordo il momento dell’appello in classe, la luce che entrava dai finestroni che davano sul giardino della vecchia sede, il chiacchiericcio che piano piano si smorzava e assieme ad esso la mia tensione di neo-professore forse troppo giovane per una classe che aveva solo qualche anno in meno di me.
Ricordo anche che, scorrendo col dito i nomi dell’elenco, ce n’era uno che non tornava. Quello di una ragazza seduta in seconda fila, con una felpa rosa e un lungo ciuffo scuro sugli occhi. Aveva un nome da uomo, sul registro. Il mio imbarazzo nel chiederle di ripetere, prima di intuire quello che stava succedendo, prima di immaginare quanto difficile potesse essere anche solo un semplice appello per una persona che non si ritrova nel sesso assegnato alla nascita.
Quel nome che non tornava era di una ragazza che ha poi avuto una brillante carriera di traduttrice all’estero e ora ha tutti i diplomi intestati al suo nuovo nome, da donna finalmente. Lei non lo sa, ma è stata una fonte di ispirazione e di coraggio ai miei occhi, agli occhi di un uomo cisgender e bianco che, anche in virtù di questo, ha avuto e ha, nonostante tutto, una vita molto più semplice e privilegiata della sua e di molte altre persone, vittime di discriminazione, stigmatizzazione e della sempiterna e sempiternemente prolifera ignoranza. Perché sì, ci vuole coraggio ad ascoltare quello che si muove dentro di te come un’inevitabile urgenza, quel senso di identità che ti chiama e non risponde a divieti o normative perché sa di essere giusto, anche quando il mondo attorno a te sembra insistere nel dire il contrario, quando cerca di convincerti che sei tu a sbagliarti. Ci vuole coraggio a vestirsi da donna e a truccarsi, semplicemente perché questo risuona con la tua vera essenza, anche se il mondo ti vede come un freak, e in metropolitana le vecchiette ti lanciano occhiate di disdegno. Ci vuole forse qualcosa che va oltre il coraggio a camminare a testa alta per i corridoi dell’università, sapendo che hai occhi costantemente puntati su di te e sul tuo fondotinta forse un po’ troppo forte quel giovedì. Proprio quei compagni e compagne che più di altre persone potrebbero capire la tua storia e starti accanto.
Più di quindici anni dopo, nell’inverno del 2024, da Coordinatore del triennio parlo al Direttore di una serie di proposte a favore dell’inclusività e della non-discriminazione, in particolare delle persone della comunità lgbtiqa+, in vista del mese del Pride ma non solo. E in mente ho proprio quel pomeriggio di gennaio e quel mio primo appello, assieme all’idea martellante che a volte bisogna scendere in campo, che ogni tanto è necessario dire e ribadire quello che è ovvio e dovrebbe essere assodato in una società come la nostra, ma purtroppo non lo è. Che un’università dev’essere un luogo sicuro per tutte e tutti, a prescindere dal loro orientamento sessuale o identità di genere.
Ed ecco che, nel mese di maggio, con il pieno sostegno della Scuola e della Fondazione, sono venute alla luce delle iniziative allo scopo di creare un terreno di apertura e condivisione su tematiche importanti che in un modo o nell’altro ci sono vicine.
Un incontro con Nina Gaia, che ci ha parlato della sua storia di donna transgender alle prese con una nuova dimensione di autenticità e con i primi amori dopo la sua rinascita. Uno dei messaggi più pregnanti è stato il “senso di inevitabilità” di quel processo di riconoscimento interno che lei ha vissuto nelle varie fasi della sua transizione. Sul mio diario mi sono scritto:
“La mia transizione di genere è stata il mio momento di maggiore picco spirituale, nato dall’invito a diventare più vera, confidando nella guida della mia intuizione per decifrare cosa mi risuonasse giusto e cosa sbagliato”. Estratto dal libro “Amore e Rinascita di una Donna Transgender”.
La settimana successiva è stato il turno della sociolinguista Vera Gheno che ha raccontato della sua visione della lingua italiana, non come una damsel in distress da difendere ma come una storia d’amore che si apre ai cambiamenti e alle sue naturali trasformazioni. Estremamente interessanti e ricche le sue riflessioni sul linguaggio sensibile al genere e su quanto “ciò che non viene nominato tende a essere meno visibile agli occhi delle persone”.
Nel suo libro Grammamanti, ed. Einaudi, scrive:
“E’ possibile avere una sana e duratura relazione amorosa con la propria lingua, invece che una basata su un morboso senso del possesso (che per me è quello che fanno i grammarnazi)? Si può passare dalla salvaguardia, dalla difesa, a un amore maturo, basato sul rispetto?”
Food for thought, come si dice in inglese, per noi linguiste e linguisti che si troveranno alle prese con nuove parole e nuove rappresentazioni di una realtà in perenne mutamento.
Ma quel mercoledì è stato anche il momento di una cerimonia colma di significato che non si vede molto spesso nelle università. Davanti alla Console dei Paesi Bassi, del Presidente del Municipio 1 di Milano e di alcune cariche della Fondazione Milano, il Direttore Michel Dingenouts ha firmato una “Dichiarazione di Intenti”, una sorta di Manifesto in cui la Scuola si impegna a:
- Rispettare ogni persona a prescindere dal proprio orientamento sessuale, identità ed espressione di genere;
- Incentivare momenti di scambio e condivisione sul tema dell’inclusione della diversità, della comunità lgbtqia+ e del benessere psico-emotivo;
- Allestire su ogni piano almeno un bagno “gender neutral”, destinato a un’utenza senza distinzione di genere;
- Prevedere uno sportello di tutorato e di ascolto per studentesse e studenti;
- Essere un luogo di cultura e convivenza privo di discrimazioni.
Da quel giorno, la bandiera “Progress Flag” sventola assieme alle altre e sono comparsi qua e là piccoli adesivi arcobaleno con scritto “safe place”.
Abbiamo presentato anche il progetto di coinvolgimento del corpo studentesco della Civica, con la creazione del Comitato Pride che si occuperà di produrre contenuti social a tema lgbtqia+ da pubblicare nel mese di giugno con #proudtobecivica e i sondaggi per la scelta della bandiera rainbow e della segnaletica dei futuri bagni.
A queste iniziative sommiamo le carriere alias che da diversi anni sono presenti nelle nostre scuole e danno la possibilità di richiedere un cambio nome in anagrafica interna e sui registri e sono state previste proprio per le persone in transizione e non-binarie che non hanno ancora esaurito il lungo iter burocratico per il cambio nome.
E così in queste giornate di una primavera che stenta a partire, quando in cortile alzo gli occhi e vedo il nome della nostra scuola con sopra la bandiera arcobaleno che si muove al vento penso, con una certa emozione, a quanto sia bello far parte di una realtà che, nel suo piccolo, non ha paura di schierarsi a favore dell’ugualgianza e contro ogni discriminazione, ben consapevole del fatto che riconoscere i diritti di una comunità non toglie nulla a nessuno, tutt’altro, ci permette di celebrare ancor di più tutti i colori che tessono le intricate e bellissime trame della nostra società e identità.
E forse anche di fare un passo in più verso un futuro più felice. Per tuttx noi.
Bibliografia
Gaia, N., Amore e Rinascita di una Donna Transgender, 2024, tutti i diritti riservati all’Autore, pubblicato attraverso la piattaforma di selfpublishing Youcanprint
Gheno, V., Grammamanti, Einaudi, Torino 2024.