“La cultura ci aiuterà a ricostruire i rapporti tra Russia ed Europa”

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ph: Diana Shendrikova

Guerra in Ucraina. Intervista a Diana Shendrikova

Aprirsi a punti di vista diversi dai nostri ci aiuta a capire la complessità degli eventi. Lo dimostra la crisi in Ucraina, intorno alla quale la diversità di punti di vista non manca, anche molto lontano da quella regione. In questo esercizio di ascolto e comprensione la voce di chi, per via della propria nazionalità, è coinvolto direttamente in questa vicenda diventa uno strumento particolarmente prezioso. Per questo abbiamo deciso di parlare con Diana Shendrikova, cittadina russa da diversi anni in Italia, ricercatrice al Politecnico di Milano e docente alla Scuola Civica Altiero Spinelli. Con lei abbiamo provato a capire come si sentano in questo momento i cittadini russi che vivono in Europa, in questo caso in Italia.

Da quanto tempo sei qui?

Sono una cittadina russa, italiana di adozione. Vivo in Italia da dodici anni, sono venuta qui per la prima volta in occasione di uno scambio universitario, poi sono tornata per svolgere il dottorato in Storia delle Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. Ho lavorato come ricercatrice in diversi paesi del mondo e adesso sono ricercatrice senior al Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano.

Come mai hai scelto proprio l’Italia? Cosa ti ha portata qui?

Quando sono venuta in Italia per la prima volta avevo vent’anni e tanta voglia di vedere il mondo. Ero già stata in Giappone e negli Stati Uniti e cercavo altre occasioni per studiare o lavorare all’estero. Era un periodo favorevole per i rapporti tra la Russia e il resto del mondo. Era il 2008 e con i governi Obama e Medvedev si respirava un clima di speranza, apertura e fermento culturale. Così mi sono candidata per un programma Erasmus e tra le varie possibilità ho scelto Roma. Conoscendo già il francese pensavo non avrei fatto molta fatica a imparare l’italiano. E poi mi piaceva l’idea di trascorrere un anno nel Bel Paese. Concluso lo scambio sono ritornata in Russia per terminare gli studi e successivamente, quando ho deciso di intraprendere la strada del dottorato, ho scelto di nuovo l’Italia e ci sono rimasta.

Quanto è forte il tuo legame con la Russia?

È un legame molto forte, e negli ultimi tempi lo è diventato ancora di più. D’altronde è un po’ come quando un tuo genitore sta male e tu provi il suo stesso dolore, soffri insieme a lui e ti senti impotente perché non puoi cambiare la situazione. E poi ci sono delle questioni oggettive che mi legano alla Russia: tutta la mia famiglia è lì e come detto io sono cittadinanza russa. Oggi questo può rappresentare anche un ostacolo, per esempio per gli spostamenti. Il passaporto russo non è un bel biglietto da visita.

Come hai vissuto emotivamente questi ultimi mesi?

Sono stati mesi molti difficili, e continuano a esserlo. Anche comunicare con le persone in Russia è difficile. Non sai mai con chi puoi parlare liberamente, c’è sempre il timore che si creino incomprensioni e situazioni di conflitto, che a causa della lontananza sarebbe poi difficile risolvere. Tutto questo ti porta a evitare di parlare di certi argomenti. E anche quando lo fai sei sempre attenta a pesare le parole perché non sai mai quale possa essere la reazione.

In questi ultimi mesi ti sei mai sentita a disagio per il fatto di essere russa?

No, mi sento fortunata perché sono circondata da persone molto sensibili e di cultura. Frequento l’ambito accademico, e dai miei amici e colleghi ho ricevuto tanto supporto e comprensione, ma non escludo che ci siano contesti in cui possa capitare di sentirsi a disagio. Come dicevo prima, per i cittadini extra UE è sempre un po’ complicato ricevere passaporti e visti, e in questo periodo lo è ancora di più. I tempi sono lunghi, spesso si fa fatica ad avere risposte dalle autorità, e allora ti sfiora il pensiero che ciò sia dovuto alla tua nazionalità russa, ma preferisco pensare che non sia effettivamente così.

Nel mondo della cultura però ci sono stati episodi da cui è emerso un particolare atteggiamento di chiusura, per esempio in occasione delle lezioni su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano. Secondo te dove nasce la tendenza a ostracizzare ciò che è russo?

È vero, e voglio citare anche il caso di Lidia Kochariàn, violinista russa esclusa dal Premio Lipizer di Gorizia. Sono episodi che mi danno molta tristezza. Non è giusto penalizzare qualcuno a causa della sua nazionalità. Io penso che questo atteggiamento sia dettato dalla paura. Credo si tratti di reazioni impulsive che nascono quando è impossibile agire sui diretti responsabili ma si sente comunque la necessità di fare qualcosa. Naturalmente è una reazione sbagliata, ma per certi versi anche comprensibile. In ogni caso nel dibattito pubblico che si è generato in seguito a questi episodi ho percepito la volontà di rimediare e di rifiutare qualsiasi atteggiamento discriminatorio. Questo mi porta a pensare, o per lo meno a sperare, che in futuro ci siano sempre meno casi del genere.

Dove ti informi e cosa pensi dell’informazione italiana rispetto al conflitto Russia – Ucraina?

Cerco di leggere un po’ di tutto, sia fonti russe che ucraine, e mantenere uno sguardo internazionale sulla vicenda. Come sapete in Russia l’informazione è completamente dominata dalla propaganda e le fonti attendibili sono sempre più ridotte. Leggo Meduza, una rivista che adesso in Russia è completamente bandita, e seguo blogger e giornalisti che sono stati licenziati dalle tv ufficiali. Per quanto riguarda l’informazione italiana, e più in generale tutta l’informazione, credo che il grande problema sia la polarizzazione del discorso. C’è chi è pro e chi è contro, è sempre tutto nero o tutto bianco e ciò fa sì che le persone diventino talmente schierate che risulta molto difficile, se non impossibile, pensare a un modo per riconciliarsi e far convivere punti di vista diversi. Ovviamente ciò non toglie che esista una versione oggettiva dei fatti, ma credo sia utile per tutti cercare di capire e approfondire diverse prospettive, cercare di aprirsi e non arroccarsi troppo su una posizione o su un’altra. È successo anche durante la pandemia e torniamo al solito discorso: dobbiamo trovare un modo pacifico per convivere, ma questo non avverrà mai se continuiamo a creare degli schieramenti in modo così netto e con toni così aggressivi. Non è facile nella situazione in cui ci troviamo, ma forse uno sforzo comune potrebbe essere il punto di partenza.

Intravedi la luce in fondo al tunnel o è ancora troppo presto per parlarne?

Ahimè, penso che la Russia si porterà dietro per decenni le ripercussioni di questo conflitto, ma credo che un giorno bisognerà ricostruire i rapporti tra Russia e Unione Europea. E questo giorno arriverà, non sappiamo né come né quando ma arriverà. E la volontà di ricostruire questo rapporto nel profondo dovrà nascere dalle persone che si sentono europee. Non dimentichiamoci che molti russi si sentono europei in tutto e per tutto. La grande cultura russa è sorella della grande cultura europea. E sarà anche la cultura ad aiutarci a ricostruire i rapporti, un giorno.