Oggi parliamo di un paese che formalmente non esiste più, ma che nel mondo della cultura c’è ancora, o quantomeno ne esiste l’eredità: la Jugoslavia, che in campo musicale ha sempre creato rock e pop di altissima qualità, con band come Bijelo Dugme, Parni Valjak, Zabranjeno Pušenje, Aerodrom, Haustor, solo per citarne alcune tra le più note. Questa tradizione di eccellenza musicale prosegue ancor oggi, negli Stati successori che continuano a distinguersi per la qualità della loro musica contemporanea.
Ancora una volta, a spiegare le ragioni di questo unicum è, almeno in parte, la geopolitica. Vediamo di capire perché.
La geopolitica, appunto. Dopo la rottura fra Tito e Stalin nel 1948 (il partito comunista jugoslavo, accusato di deviazionismo e di connivenza con l’Occidente, era stato espulso dal Cominform), la Jugoslavia ha potuto godere per decenni di una posizione di autonomia che l’ha portata a emergere come leader dei paesi non allineati. Ciò ha comportato una serie di conseguenze feconde anche sul piano della cultura. Anzitutto, in un mondo diviso in blocchi la Jugoslavia era relativamente aperta all’Occidente: la musica occidentale circolava tranquillamente e la formazione di band e gruppi rock non era minimamente scoraggiata. Gli jugoslavi erano una popolazione istruita: molti musicisti avevano una formazione classica e nei grandi centri urbani vi era una vivace scena underground, da Lubiana, a Sarajevo, a Zagabria, a Belgrado, a Novi Sad, a Skoplje. Implicitamente era il sistema stesso a incentivare questa creatività: la casa discografica statale, la Jugoton, pubblicava regolarmente album di musica rock e la televisione jugoslava dava spazio anche a questo genere musicale.
Questa particolarissima situazione geopolitica e un simile clima di fermento culturale hanno favorito la nascita in Jugoslavia di una delle scene rock più vivaci d’Europa, con punte di originalità e profondità difficilmente eguagliabili nel mondo. Non solo perché, come abbiamo visto, la musica occidentale in Jugoslavia arrivava facilmente, ma anche perché spesso erano le strutture volute dal partito, come lo Studentski Kulturni Centar Beograd – centro culturale studentesco aperto nella capitale nel 1971, come concessione del regime alla contestazione giovanile del ’68 – a fare da “incubatore” alla creatività rock, tanto che la censura sui brani non era più rigida di quella che vigeva, per esempio, nel Regno Unito (1). E così le tematiche trattate nei testi dei brani finivano per essere le stesse che in Occidente: dalla politica, alla condizione esistenziale, alla visione scanzonata e ironica della realtà. E’ nata in questo modo una «Yugowave» che, nel blocco socialista, ha goduto di una certa fortuna internazionale e che portava oltrecortina le note del rock. Gli organizzatori dei concerti, dall’URSS alla Cecoslovacchia, potevano così dire: ecco, vedete, noi non organizziamo concerti con gli artisti decadenti dell’Ovest, ma con i musicisti di una nazione sorella, socialista come noi (2). E magari capitava che gli artisti jugoslavi inserissero in scaletta anche brani dei Beatles o di Bob Dylan.
La musica rock, quello stesso rokenrol che il critico musicale croato Ante Perković ha definito la “settima repubblica” de facto della federazione (3), ha continuato a funzionare da collante pan-jugoslavo anche durante e dopo lo scontro armato e l’implosione del Paese, come attestato da diversi concerti contro la guerra: per esempio quello tenuto a Belgrado nella centralissima Trg Republike il 22 aprile 1992, in pieno conflitto, sotto lo slogan Ne računajte na nas, non contate su di noi, davanti a 55 mila spettatori (4).
Che cosa rimane oggi di questa eredità?
Moltissimo.
Gli stati succeduti alla ex Jugoslavia continuano a creare rock e pop di qualità, di grande spessore musicale e profondo lirismo nei testi. Gli jugoslavi erano una popolazione colta che si rendeva conto (e se ne rende tuttora) dell’assurdità dell’inferno che ha dovuto vivere, come il croato Darko Rundek – il vocalist di un’altra importante band jugoslava, gli Haustor – che nei primi anni Novanta decideva di emigrare in Francia: come ha dichiarato di recente in un’intervista, aveva visto emergere tratti della natura umana che sperava non esistessero (5).
Forte di un retroterra culturale di grande profondità, dalle ultime fasi dello Stato unitario sino a oggi tutta la ex Jugoslavia continua a sfornare musica che, per complessità e profondità, non ha nulla da invidiare ai mostri sacri del rock mondiale. Senza nessuna pretesa di indossare i panni del critico, ma unicamente come invito all’ascolto, ecco una rapida carrellata assolutamente non esaustiva e del tutto personale – non vorrei fare torto alle tantissime band d’eccellenza che non ho potuto includere: come ogni selezione personale, è necessariamente arbitraria.
Parni Valjak: Sve jos mirise na nju (1994). Un brano che, su note da pelle d’oca e con parole da brivido, descrive ciò che accade quando l’amore è tossico, e continua ad accadere anche quando è finita:
Sve još miriše na nju, i dan, i jutro što će doći
Nakon ove noći, noći bez sna
I dvjesto godina da ih brojim u samoći
Otkako je otišla.
U mojim venama još je njenog otrova
Još je doza prejaka
[Tutto ancora sa di lei, e il giorno, e la mattina che verrà / dopo questa notte, notte senza sonno / anche per duecent’anni, se stessi a contarli in solitudine / da quando se n’è andata / Nelle vene ho ancora il suo veleno / la dose è ancora troppo forte] (*1)
Haustor : Bi mogo da mogu (1988). Un uomo decide di farla finita, e la sua decisione è resa nel brano con delicatezza e rispetto, non con drammatizzazione e spettacolarizzazione, in un’atmosfera sonora che rende conto di tutto, dal rimpianto, allo struggimento, alla paura del passo estremo:
Bilo je rano jutro tada kad je ostavio sve
Čulo se samo kako ptice pjevaju
Onda je stajao još dugo s druge strane ulice
Pustio suze da se same slijevaju …
Ja bi’ mogo da mogu Ja bi’ znao da znam
[Era mattina presto quando ha lasciato tutto / Si sentivano solo gli uccelli cantare / E ha indugiato ancora un po’ sull’altro lato della strada / Lasciando le lacrime stillare da sole …. Se avessi potuto potere… se avessi saputo sapere…] (*2)
Damir urban: Mjesto za mene (2004). Spesso il rock della ex Jugoslavia parla di sentimenti, e lo sa fare con grande sottigliezza e profondità. Il brano di questo artista croato descrive l’annullamento della volontà e l’abnegazione totale a cui può portare l’innamoramento, sullo sfondo di un ritmo battente e di una sonorità incalzante:
Ima li tu mjesta za mene
Sasvim mala rupa je dovoljna
da se ušuljam u tebe
jer sve je nevažno i sasvim sigurno
pored tebe
svaki će refren pasti u vodu
[C’è posto per me? / Anche un piccolo forellino mi basta / per insinuarmi in te / perché nulla conta ed è del tutto certo: / accanto a te / ogni ritornello cade in acqua] (*3)
Zabranjeno pušenje: Yugo 45 (1999). Questo brano della celebre band bosniaca è un capolavoro che condensa in 4 minuti 45 anni di storia, tra motorizzazione di massa e viaggi all’estero – in questo, la Jugoslavia costituiva un unicum tra i paesi socialisti. E così, sulle note di una melodia elegante e raffinata, l’ascolto ci porta dalla vita spensierata e moderatamente consumistica in quello che era uno stato unitario
Bilo je to dobro vrijeme
Sve na kredit, sve za raju, jarane
U auto naspi čorbe, pa u Trst po farmerke
[Erano bei tempi / tutto a credito, tutto per gli amici, baldoria / caccia un po’ di benza nell’auto, e via a Trieste a comprare i jeans]
alla fuga scomposta da Sarajevo sotto le bombe
Pobjegli smo jednog jutra s dvije kese najlonske
Prvo malo Lenjinovom, pa preko Ljubljanske
[siamo scappati una mattina con due borse di plastica / imboccando prima un pezzo di Lenjinova, poi lungo la Ljubljanska]
alla nostalgia che brucia sempre nonostante i decenni, una casa più bella e una nuova vita:
Ali meni je u glavi uvijek ista slika, isti fleš
Stara kuća, mala bašća … i Jugo 45
[Ma in testa ho sempre la stessa immagine, lo stesso flash / una casetta, un piccolo giardino … e la Yugo 45]
(*4)
Ničim Izazvan: Odlaziš? (2016). Un brano di questa giovane band serba, di grande ricchezza polifonica e profondo lirismo nell’esprimere il pentimento di chi ha dubitato ingiustamente del sentimento dell’amata:
O kako sam samo bio lud da pomislim…
Da više nećeš biti tu…
Gde li sam u tvome pogledu video, da smo se prosuli po tlu…
K’o da smo od stakla…
[Ma quanto sono stato pazzo a pensare … / che non ci saresti stata più … / Ma come ho fatto a vedere nel tuo sguardo, che eravamo andati in frantumi sul pavimento … / come se fossimo di vetro] (*5)
Van Gogh: Do poslednjeg daha (2025). Anche qui, sulle note elettrizzanti di un rock moderno e melodico, nella voce di Zvonimir Đukić questa band serba ci fa vivere il disincanto di chi ne ha viste troppe, ha visto il suo mondo e il suo paese andare a pezzi in una catastrofe storica, e che oggi, superati i 60, può solo cantare a squarciagola:
I nije mi žao što lete godine,
kad još uvek ista glad za životom vodi me,
i nije mi žao što deo sebe svima sam dao,
evo, igraću još brže, živeću bez straha,
jer život je moj do poslednjeg daha
[E non me ne importa che gli anni volino, / se mi guida sempre la stessa sete di vivere, / e non me ne importa di aver dato parte di me a tutti, / anzi, giocherò ancora più forte, vivrò senza paura, / perché la vita è mia fino all’ultimo respiro] (*6)
Note
N.B.: Le citazioni dai testi delle canzoni, frutto di ascolto personale, sono riprodotte a scopo di analisi critica e culturale, conformemente all’art. 70 della Legge sul diritto d’autore. Le traduzioni sono originali e realizzate appositamente per questa pubblicazione. Tutti i nomi, titoli di brani e marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari. L’uso che se ne fa in questo articolo ha esclusivo scopo culturale e informativo.
(*1)(*2)(*3)(*4)(*5)(*6): tutti i brani citati sono reperibili online, in videoclip sulle principali piattaforme multimediali.
Bibliografia
- J. Bousfield, 40 years after the New Wave: the story of the music that changed Yugoslavia. https://www.new-east-archive.org/features/show/12495/yugoslav-new-wave-1980s-music-40-years-on (consultato nel settembre 2025)
- F. Rolandi, A. Mariani, La storia della scena pop rock jugoslava dagli esordi alla Novi Val. https://www.balcanicaucaso.org/layout/set/print/content/view/print/44502 (consultato nel settembre 2025)
- A. Perković, Sedma Republika: pop kultura u YU raspadu, Novi Liber, Zagreb 2011.
- Javni čas – Antiratni otpor tokom ’90ih u Beogradu https://www.cpi.rs/projekat/6/ANTIWAR_RESISTANCE (consultato nel settembre 2025)
- I. Butković, intervista a Darko Rundek. https://www.tportal.hr/kultura/clanak/darko-rundek-u-90-tima-su-se-pojavile-ljudske-osobine-za-koje-sam-se-nadao-da-ne-postoje-foto-20171210/print (consultato nel settembre 2025).