Israeliani e palestinesi. La pace impossibile

0
201
The Great Mule of Eupatoria, CC0, via Wikimedia Commons

Il conflitto tra israeliani e palestinesi è tra i più violenti degli ultimi anni e rappresenta un argomento spinoso, che presenta molte zone d’ombra. Oltretutto è anche incredibilmente polarizzante. Per comprendere ciò che sta accadendo in Medio Oriente bisognerebbe andare indietro nel tempo e ripercorrere gli eventi storici che hanno determinato il contesto di questa guerra. Forse bisognerebbe tornare addirittura al XV secolo, quando durante la Reconquista cattolica della penisola iberica gli ebrei vennero cacciati e furono costretti a trovare rifugio sulle coste mediterranee appartenenti all’Impero Ottomano; oppure agli accordi di Sykes – Picot, al mandato britannico sulla Palestina e alla dichiarazione Balfour, una promessa figlia del colonialismo occidentale. In questo articolo tuttavia lo scopo è quello di provare a indicare alcune delle ragioni per cui attualmente un accordo di pace tra palestinesi e israeliani non sia possibile.

Partiamo dal punto centrale della questione oggi: il cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio 2025 a Gaza è ormai completamente saltato e gli attacchi israeliani sono ripresi in modo ancora più violento rispetto al passato. Con il cambio di governo negli Stati Uniti non sono mancate le dichiarazioni controverse, che hanno scosso l’opinione pubblica. Israele dice di voler eliminare completamente Hamas, rifiutandosi di rilasciare, tra i detenuti palestinesi, figure di spicco dell’organizzazione, come richiesto invece da quest’ultima. Hamas, da parte sua, ha ritardato la consegna dei nominativi degli ostaggi da liberare, cosa che ha permesso a Israele di avanzare l’accusa di utilizzare gli ostaggi come mezzo di propaganda. Di fatto, quindi, la possibilità di un periodo di tregua esteso è sfumata molto in fretta.

Ma per quale motivo questi due attori non riescono a trovare un punto comune?

Ripercorrendo brevemente la storia si scopre che molte delle popolazioni arabe che vivevano in Palestina avevano già perso le loro terre durante il periodo ottomano, perché dopo l’introduzione della proprietà privata dei terreni solamente i più abbienti avevano potuto mantenere gli appezzamenti. Tutti gli altri erano stati schiacciati dalle imposte sempre più elevate ed erano stati costretti a diventare operai e lavoratori a servizio dei più ricchi, oppure piccoli artigiani. Quando gli ebrei arrivarono in Palestina iniziarono ad acquistare legalmente questi terreni, cosa che fece crescere le tensioni tra i due popoli e che diede il via al fenomeno conosciuto come sionismo.

Quando nel 1947 le Nazioni Unite adottarono la Risoluzione 181, che prevedeva la creazione di uno Stato israeliano e di uno Stato palestinese, la rabbia tra gli arabi palestinesi raggiunse il culmine.

Con la creazione dello Stato di Israele nel 1948 le tensioni tra le due popolazioni esplosero in maniera più che evidente, fino a tradursi nei conflitti armati che si sono andati avanti fino a oggi.

Negli ultimi mesi gli attacchi israeliani nella striscia di Gaza si sono intensificati, la popolazione locale è stata costretta a fuggire, decine di migliaia di persone sono state uccise, altrettante sono state ferite gravemente, sono state distrutte abitazioni e infrastrutture, è stato vietato a lungo l’ingresso degli aiuti umanitari. I coloni israeliani nella Cisgiordania occupata hanno incendiato le moschee, le case, hanno aggredito fisicamente e verbalmente la popolazione palestinese, tutto sotto protezione militare, rendendo ancora più critica la condizione dei palestinesi. La popolazione israeliana è completamente assuefatta dalla propaganda politica portata avanti dall’attuale primo ministro, Benjamin Netanyahu, anche per questo a mio parere i rapporti tra i due popoli non sono pacifici. Al contrario, si nutrono di un odio reciproco costantemente alimentato dalla politica.

Le forze politiche palestinesi poi non sono unite. L’Autorità Nazionale Palestinese presente in Cisgiordania, e Hamas che dal 2007 governa a Gaza, sono rivali. Questa frattura non facilita la rappresentanza del popolo palestinese durante i negoziati. Anche la politica israeliana, caratterizzata da una forte spinta verso destra e verso l’ultranazionalismo, è poco propensa alle concessioni e al compromesso.

Inoltre manca un mediatore esterno che permetta il dialogo tra le parti. È vero che ci sono gli Stati Uniti, ma la percezione dei palestinesi è quella di un mediatore che storicamente si è sempre sbilanciato a favore di Israele. Gli altri soggetti internazionali che hanno partecipato ai tentativi di negoziato, anche in questi mesi, come alcuni paesi arabi (Qatar ed Egitto) non sono riusciti a esercitare un’influenza decisiva.

Sono poi tante le questioni irrisolte tra israeliani e palestinesi: entrambi rivendicano Gerusalemme come capitale, i profughi palestinesi pretendono di tornare nelle loro terre e nelle loro abitazioni, non esiste un consenso comune sugli eventuali confini di eventuali due stati.

Ma ci sono anche altri elementi.

Ciascuna delle due parti ha costruito per esempio una narrazione, anche religiosa e culturale, per cui il dialogo con la controparte è impraticabile. In questi anni si è collezionato solo odio e rancore, cosa che ha permesso a gruppi estremisti e radicali di agire indisturbati e interferire sia sull’opinione pubblica che all’interno dei negoziati. Quest’odio accumulato nei decenni passati rende difficile immaginare l’altro come un interlocutore legittimo di cui fidarsi. In sostanza non esiste fiducia tra gli attori politici, ma nemmeno tra le due popolazioni. Lo si è visto con l’ultimo cessate il fuoco, fallito a causa delle reciproche violazioni dell’accordo e anche questo ha contribuito alla creazione di un precedente.

In conclusione: l’ostacolo principale a un accordo di pace tra Israele e Palestina è sicuramente il fatto che esistano questioni ancora irrisolte, a maggior ragione in assenza di mediatori credibili e imparziali. E poi ci sono l’odio, la rabbia, la frustrazione coltivata dalle due popolazioni in questi decenni di guerre e attentati reciproci. In tutto questo non bisogna dimenticare la tragica condizione umanitaria in cui i palestinesi si ritrovano a vivere ogni giorno, cosa che sicuramente contribuisce ad aumentare la collera per un’ingiustizia riconosciuta ormai dal mondo intero. Troppe volte l’attenzione si concentra su governi e leadership politiche, quando sarebbe forse più efficace stimolare il dialogo tra le popolazioni civili, costruendo un percorso di pace dal basso verso l’alto. Ma questo risulta difficile finché le persone vivono nella paura, nel degrado causato dalla guerra e nella negazione dei diritti fondamentali.